"La cultura è il complesso unitario che include la conoscenza, la credenza, l'arte, la morale, le leggi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro della società" (Edward Tylor).

"Memorie di Militello" di Mario Aurelio Abbotto



M A R I O      A U R E L I O    A B B O T T O








M I L I T E L L O  I N  V A L  D I  C A T A N I A 


N E I  R I C O R D I  D' I N F A N Z I A 

F A T T I  D I  C R O N A C A   E  C U R I O S I T A'  S T O R I C H E 







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FATTI DI CRONACA DI MIA PERSONALE CONOSCENZA
Nei ricordi d'infanzia

(C U R I O S I T A ' S T O R I C H E)

PREMESSA

Questi ricordi d'infanzia sono destinati in fotocopia agli amici, i quali in appendice possono apportarvi modifiche, arricchendoli e integrandoli con altre reminiscenze proprie per conservarne la memoria storica, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. Sono piccoli avvenimenti inquadrati in quelli più importanti perché descrivono meglio i fatti storici vissuti. 
Questi sono affidati alla memoria, che adesso, a causa dell'età, diventa un po' labile, quindi oggetto di rettifiche. Sono arricchiti con espressioni di circostanza per esaltarne il contenuto.
Non hanno la pretesa di essere dati alle stampe e non rispettano un senso logico né cronologico.
Cosa ti serve ricordare che Napoleone fu sconfitto a Waterloo e Garibaldi sbarcò in Sicilia nel 1860 se poi, non puoi o non sai raccontare ai nipoti qualcosa della Tua infanzia e della Tua giovinezza? Proprio quando non avevamo un solo centesimo in tasca ed eravamo felici lo stesso? 

"La vita può essere capìta solo se si guarda indietro,
ma può essere vissuta solo se si guarda avanti" 









I° C A P I T O L O - P E R I O D O  P R E B E L L I C O 




Rapporti dell'Arma con il Regime Fascista

In Acireale durante la mia presidenza nell'Associazione Nazionale Carabinieri ho avuto modo di conoscere un maresciallo dell'Arma, Francesco Valastro, che mi collaborava come segretario. Egli era stato comandante della Stazione Carabinieri di Militello durante il periodo fascista. Mi fece regalo anche di una fotografia che riprendeva un affollato comizio fatto in Piazza V. Emanuele da un esponente politico del regime di allora non appena nel 1936 giunse la notizia della vittoria italiana nella guerra dell'Abissinia. 

Mi riferiva anche un caso particolare da lui vissuto in quel suo comando riguardante la delicata e non sempre acquiescente relazione che un comandante delle forze dell'ordine era costretto ad avere con le Autorità Fasciste di quel momento storico. Merita di essere raccontato, perché i piccoli fatti costruiscono la grande storia e definiscono con chiarezza i momenti storici che si vivevano.





Il teatro nell'Arena S. Benedetto
In una afosa ma piacevole sera estiva nell'atrio del Municipio, chiamato per l'occasione Arena S.Benedetto, venne programmata per le ore 21 una rappresentazione teatrale in tre atti con l'allegra farsa finale, come era costume fare allora. Il maresciallo garantiva con la sua presenza l'ordine pubblico. Dopo circa un'ora di attesa lo spettacolo non incominciava perché, come fu annunziato, si aspettava il Podestà, che allora era l'insegnante Placido Cirrone. L'animosità della sala incominciò ad essere insofferente per la lunga attesa, reclamando l'inizio con fischi e con non tanto domabili proteste, prontamente rassicurate dall'intervento del maresciallo, che invitava alla calma e alla sopportazione. 
Un attore comparso sul palcoscenico annunziò che lo spettacolo stava per iniziare, perché finalmente quell'illustre personaggio tanto atteso fu visto uscire dalla sua abitazione nel palazzo Baldanza di Via Senatore Majorana. Però invece di dirigersi verso il Municipio per dare inizio allo spettacolo teatrale, voltò per la Via Umberto in direzione della villa insieme alla sua famiglia per la consueta passeggiata. Conseguentemente lo spettacolo non poté iniziare, facendo aumentare nel pubblico una rabbiosa contestazione, a stento domata dall'intervento non più convincente di quel sottufficiale, il quale da quel momento mutò l'opinione verso quell'alto autorevole personaggio politico, al quale poi avrebbe fatto presente il suo personale rammarico per quel poco riguardoso comportamento.
Dopo la comoda passeggiata, divenuta necessaria e irrinunciabile per digerire il pasto della cena, con un abbondante ritardo di un'ora e mezza finalmente lo spettacolo ebbe inizio e si calmarono anche gli animi, ma non quello del maresciallo, il quale alla fine dei tre atti della commedia, salito sul palcoscenico invitò tutti a lasciare quel luogo perché essendo scoccata la mezzanotte, per motivi di pubblica sicurezza non potevano essere ulteriormente prorogati gli spettacoli, in forza di una specifica circolare della Prefettura di Catania, pervenuta da qualche giorno. Ovviamente l'attesa della farsa finale non poteva essere soddisfatta, tanto che il Cirrone reclamò con la sua autorevolezza la prosecuzione dello spettacolo. Ma con la ferrea decisione del maresciallo lo spettacolo non fu più ripreso, facendo ricadere così la responsabilità sul comportamento non tanto sopportabile del Podestà, il quale, sensibilmente ferito nella sua soverchia autorità, nel giorno successivo, convocandolo nel suo gabinetto, prima che gli addebitasse quella drastica decisione, il maresciallo ebbe a presentargli le sue dimissioni e la volontà di lasciare Militello avendo chiesto ai superiori il trasferimento in altra sede per incompatibilità di rapporti con l'esponente politico locale. Il Cirrone in quello stesso anno decadde da quell'incarico.



Diffida alle sale da barba

Nelle sale da barba, specialmente in quelle principali, durante gli intervalli della giornata era costume fare le mandolinate ad opera anche di qualche commesso dedito alla musica. Si univano altri con chitarre e con clarino. Uno di loro, un certo Totò Maggiore fu arruolato nella Banda della Guardia di Finanza e ne divenne 'primo clarino' con il grado di Maresciallo Maggiore. Era un piacere sentire quelle melodie che richiamavano i clienti ed anche i curiosi. Il regime di allora, nel timore che in detti locali si sparlasse di esso, provvide con convincenti opere di diffida di astenersi dal farla, tanto che sono venuti alla luce degli specifici documenti risalenti al 1924 con conseguenti minacce di chiusura dell'esercizio.



Il locale del Dopolavoro Fascista

Una notizia riguardante quel periodo prebellico, che merita di essere raccontata, è quella capitata a mio padre, Giuseppe Abbotto.

Ebbene, lo stesso verso l'anno 1938 comprò un locale in Via Umberto n.12 limitante con il Banco di Sicilia, con la speranza da servire nel futuro ai figliuoli, allora scolari, per riporvi da adulti le motociclette, quale segno di una prestigiosa sistemazione da professionisti degli stessi.

Ai gerarchi locali venne in mente di destinare invece quel locale a 'Camera del Dopolavoro Fascista', per cui all'Abbotto fu specificatamente intimato di cedere quel locale. Questi oppose il suo diniego di consegnare la chiave, tanto di essere accusato di essere antifascista, pur possedendo la tessera, allora necessaria, di 'camicia nera'. Per tal motivo fu chiamato in caserma e in caso di persistente diniego di essere condotto in carcere. Il che fu evitato mercé l'interessamento del cognato, il sac. Francesco Raciti, il quale fece opera di convincimento di cedere quel locale, che prontamente venne adibito a ' Camera del Dopolavoro Fascista'.
Non sono riuscito a conoscere la motivazione della cessione dell'immobile, se confiscato oppure se donato sicuramente 'con volontà coatta'. 
Dopo qualche anno, a seguito dell'entrata degli inglesi a Militello, non aveva più senso che rimanesse quella destinazione fascista, e se ne appropriò un nuovo regime, decisamente antifascista, destinandolo a sindacato comunista come 'Camera del Lavoro', come lo è tuttora. 
A seguito di una paralisi che colpì l'Abbotto, lo stesso non ebbe più interesse di reclamare la restituzione dell'immobile, che rimase nelle mani di quel nuovo sindacato.
Qualche decennio fa, un suo dirigente volle fare una ricerca catastale della casa per conoscere la provenienza e quale fu la sua sorpresa nello scoprire che non esisteva alcuna traccia della sua esistenza presso l'Ufficio Tecnico Erariale di Catania (oggi chiamata Agenzia del Territorio). 
Credo che ancora oggi risulti 'locale non censito'.

Le istruzioni premilitari
Fu un periodo di relativa calma, dominato dal regime di allora, che coincise con la mia prima infanzia. Nel famoso 'Sabato Fascista' s'impose nel pomeriggio ai giovani un'istruzione premilitare. Essi venivano radunati nell'atrio del Municipio per poi al comando di qualche giovane non analfabeta, che si atteggiava da gerarchetto con poteri di potente alterigia, venivano trasferiti con marcia cadenzata e ordinata per le consuete istruzioni lungo il Viale Regina Margherita.
Per imporre la cadenza del 'passo' tale comandante osava marciare al fianco del plotone all'indietro. Ricordo che lungo la via Umberto ciò gli procurò di cadere in un tombino senza grata. Era un muratore, chiamato col soprannome 'Badduzza', malvisto dai dipendenti, che non sopportavano il suo strapotere di comandante supremo di 'tutte le forze armate'. S'immagini le abbondanti risate di quei giovani e le conseguenti reazioni del malcapitato con le sue minacce non di dar loro la consueta dose di olio di ricino ma di 'farli deportare tutti in prigione a Gaeta'.


Il Grano
In questo periodo la famiglie portavano il grano nei diversi mulini per essere macinato, pagando quel servizio in natura (cioè con farina) e in denaro come da tariffe prestabilite (la famosa 'macinatina'). Per l'occorso veniva adoperata una unità di misura diversa pari al 20% di meno, chiamata 'trizalora', fra il frumento da macinare e la farina prodotta. Il mulinaro certe volte passava per le strade per avere il frumento da macinare con il caratteristico carrettino trainato dall'asino con campanellino. Nel mulino ad acqua di Lémbasi si risparmiava sulla macinatina. Quando esso era inoperoso, il mulinaro osava suonare la brogna, il cui cupo suono si espandeva come eco ripetitivo in tutta la vallata. 

La Pasta
Per avere la pasta, c'erano tre o quattro pastifici dove si portava la propria farina e si aveva quelle varietà che si desiderava (spaghetti, maccheroni, lasagne, corallini ecc.), che venivano fatte in presenza dei clienti. Ricordo il pastificio di Via D. Alighieri e quello di fronte alla Chiesa Madre, entrambi gestiti da Cantarella.


La Scuola Materna
Questo periodo coincise con la mia fanciullezza. La Scuola Materna non esisteva, o meglio i bambini venivano mandati 'na mastra', cioè in qualche casa privata e affidati ad una donna che fungeva da responsabile. Io fui mandato nei primi anni in casa di 'Donna Rusidda Di Stefano', in Via Donna Giovanna d'Austria n.107. Mi ricordo che i piccoli bisogni si facevano dal balcone sull'orto sottostante. Ce n'era un'altra in un cortile di Via Dante Alighieri presso 'donna Tinuzza Basso' e i bambini erano costretti a stare in un vano a pianoterra accanto alla nassa con le galline. 
C'erano due soli ASILI gestiti da suore nell'ex Convento di S. Domenico intitolato a Francesco Laganà Campisi e nei locali dell'Orfanotrofio, dove si poteva proseguire da esterni nelle Elementari, e dove veniva fatto anche il doposcuola per quei ragazzi delle Scuole pubbliche; fra questi c'ero pure io, quando divenni più grandicello. Ci veniva dato il Chinino di Stato a forma di cioccolatine quadrate, come prevenzione della diffusa malattia della malaria. 


La Banconota da 50 Lire
Anzi, in quella circostanza, un giorno durante la ricreazione sotto i pini del Parco della Rimembranza, riconobbi una banconota da 50 lire con la lupa capitolina, un po' sporca non conosciuta da altri coetanei, che io subito raccolsi da terra, ma prontamente sequestratami dalla suora, che se ne appropriò, rimproverandomi perché 'le cose da terra non si prendono'.


Carenza nei Servizi Igienici
In quel periodo quel luogo chiamato 'Canalicchio' era considerato zona periferica e adoperato per discarica e per servizi personali. D'altronde tutte le periferie avevano le stesse destinazioni, a causa di mancanza totale dei servizi nelle case. Il Medioevo da noi ancora non era scomparso! In contrada 'Bottazza' c'era un muretto chiamato 'u ittaturi' dove veniva scaricato il liquame dei famosi cantri in ceramica delle famiglie raccolto in paese con una fatiscente bottazza, trasportata su un carrettino da un asino. In quei lontani tempi le fognature non erano ancora completate. 
Dopo alcuni giorni capitò nella mia casa una donna anziana, che richiedeva a mia madre la crusca del frumento, o meglio la caniglia, per le sue galline. In mia presenza si lamentava con mia madre che suo figlio aveva perso la banconota di lire cinquanta ricevuta per un mese lavorativo e non sapeva come poter sopravvivere. Inutile dirle che, dato il lungo tempo trascorso, quella banconota era finita nelle mani di una suora dell'Orfanotrofio.


La Monetina rinvenuta
Un fatto curioso avvenne in questo periodo. Fra noi ragazzi circolava un esperimento secondo il quale dopo aver catturato nel Parco della Rimembranza sette (o undici) grilli di riporli sotto un mucchietto di terra, perché il giorno successivo si sarebbe trovata qualche moneta. Ebbene mio fratello Nello ed io volemmo fare questo esperimento. Quale fu la nostra sorpresa, allorché il giorno dopo proprio sopra quel mucchietto di terra trovammo una piccola moneta di un centesimo con l’effigie di Umberto I, che ancora conservo, cessata dalla circolazione da diversi decenni. Fu un mistero, a cui ho pensato sempre da allora. 


Le Consuetudini per i Matrimoni
I matrimoni per antica tradizione non avvenivano per scelta degli sposi per innamoramento come ‘le fuitine’, ma mediante ‘a purtata’, cioè tramite il mediatore (o ruffiano), che trattava anche sulla dote dei promessi. Allo stesso, se veniva concluso l’affare, veniva dato un compenso. Nel giorno della vigilia venivano esposti i regali personali e il corredo. Alla fuitina si ricorreva anche e principalmente se non si volevano o potevano sostenere le spese delle nozze per i regali, le bomboniere e i corredi. Il ricevimento si faceva in casa e consisteva nei soliti dolcini fatti in casa, i cìciri caliati e l’immancabile bicchiere di vino.
Si raccontava che nell’antichità una volta non si poteva concludere l’affare per l’intransingenza del futuro sposo che pretendeva dalla suocera come corredo anche la coltre imbottita, chiamata ‘cuttunata’. Mentre lo sposo in chiesa era in attesa della sposa vi giunse solo la madre di lei con la ‘cuttunata’ avvolta e, gettandogliela ai piedi, gli disse:’Volevi a cuttunata? Eccotela per sposa!’


La richiesta del matrimonio del macellaio
Ad Acireale un macellaio arricchitosi si azzardò per il matrimonio del figlio di inviare la richiesta in una casa che si autopraclamava essere di ‘sangue blu’, abbondantemente caricata di fumo e di alterigia però notoriamente un po’ squattrinata. La signorina pretesa in quel tempo era nota perché giungeva nel giardino pubblico con la carrozza dove veniva attesa dalle amiche, con le quali, con passo felpato e studiato osava passeggiare nel solo viale centrale, dov'era vietato allora ad altri di basso ceto.
La risposta non solo venne respinta ma anche con una forte dose di risentimento. Al che il macellaio controbattè con una frase passata alla storia: “ Se vuole il sangue, vada al macello dove ce n’è molto, ma se vuole i soldi deve venire da me!”


Le canzoni più in voga

che noi ragazzi cantavamo erano spiccatamente di natura politica inneggiante il regime: Il Piave mormorava... Viva il Re, Viva il Re, le trombe liete squillano (l'inno reale)..., Salve popolo d'eroi.. e per Benito Mussolini Eia, Eia, Alalà...(l'inno fascista), Sole che sorgi libero e giocondo..., Colonnello non voglio pane ma il fuoco del mio moschetto...,Non me ne importa niente delle sansioni...,Fischia il sasso la tromba squilla (il canto dei Balilla)..., Faccetta nera dell'Abissinia, quando saremo vicino a te, ti porteremo il nostro Duce e il nostro Re. Lillì Marlen..., Bre.. bre..bre oggi è festa Viva il Re!



Dall'esame della superiore tessera del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) si rileva la firma del Barone Benedetto Majorana della Nicchiara Vice Segretario Politico di Catania, l'Anno IX dell'Era Fascista (cioè il 9° Anno a partire dall'Anno della Rivoluzione Fascista 1922) e la formula del Giuramento: "Nel nome di Dio e dell'Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se è necessario, col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista".  Tale formula aveva sostituito quella precedente rilevata in un'altra tessera dello stesso anno, che per memoria storica, voglio riportare: "Giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se è necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione Fascista". Sottolineo l'esistenza delle parole: 'senza discutere'.

Tutte le occasioni erano buone per mettersi in divisa e ostentare l'appartenenza al Regime, (guai se non si facesse! ), e ricordo le principali festività di quel tempo : 21 Aprile (la nascita di Roma), 24 Maggio (l'Entrata in guerra nel 1915), 28 Ottobre (la data della Rivoluzione Fascista del 1922), 4 Novembre (la Vittoria nella Grande Guerra 1915-18). C'era un'altra ricorrenza che adesso non ricordo bene, la creazione dei Fasci di Combattimento (forse nel mese di Marzo).

Mi viene in mente per circostanza che la Piazza Municipio nell'arco della storia ha avuto diversi nomi: Piazza S. Benedetto, Piazza Benito Mussolini (nel mio certificato di nascita c'è scritto di essere nato in Piazza Benito Mussolini), Piazza XXVIII Ottobre (fino al 1943), Piazza S.Benedetto, e infine, Piazza Municipio. 


2 ° C A P I T O L O - P E R I O D O B E L L I C O 1940-45

Il Presidio dei Soldati 
Durante questo periodo in Militello c'era un presidio di mitraglieri distaccato in diversi alloggi. Ricordo quelli del lato est del Municipio, con ingresso di alcuni gradini vicino al Cinema Tempio, quello del Convento dell'Immacolata (oggi non più esistente), quello nella Casa di villeggiatura della Stazione Ferroviaria di proprietà Majorana. Le attività della vita di caserma venivano scandite durante il giorno dai diversi squilli di tromba (la sveglia, l'adunata, il rancio, la ritirata e infine il silenzio).
Nell'Ospizio Bisicchia di Viale Regina Margherita venne fatta l'Infermeria. Nel suo prospetto c'era uno scritto “fratribus ut vitam servares” (per salvare la vita ai fratelli); sopra l'ingresso la consueta frase 'Credere, obbedire, combattere'. Sopra i pilastri che reggevano il cancello c'erano due Fasci Littorio scolpiti in pietra vulcanica, oggi non più esistenti. Detto ospizio dopo l'ingresso delle Truppe Alleate divenne ufficio di un capitano inglese. 
I magazzini viveri erano alloggiati nella chiesa dismessa di S. Domenico e nelle quattro baracche in legno, site nel viale Regina Margherita dove dopo qualche anno sorgerà il campo sportivo comunale, per allargare il quale si dovette sacrificare il vialetto secondario del viale e dall'altro lato coprire con materiale di risulta anche alcune calcare. Esse erano state scavate in forma cilindrica con una profondità di oltre 5 metri e un diametro di 3 circa, utilizzate nei secoli precedenti per fare la calce e il gesso da servire per la costruzione delle chiese e delle case. Detti magazzini diventarono oggetto di radicale smontaggio e saccheggio con l'entrata a Militello delle Forze Alleate. Vi erano stati custoditi gallette di forma quadrata grande (quelle inglesi erano più piccole), carne in scatola, cognac, scarpe, capi di vestiario militare ecc. 
Il contingente militare aveva in organico anche una squadra di tamburinieri che accompagnava la cadenza dei reparti nelle marce che erano soliti fare verso il viale o nel Parco della Rimembranza (Giardino Pubblico) o nelle strade di campagna, dove nelle soste si facevano gli addestramenti, alla presenza di noi ragazzi, che non mancavamo di ridere in qualche errore commesso dai soldati. Avevamo imparato quegli addestramenti meglio di loro soldati, e frequentemente per gioco cercavamo di imitare la marcia e le varie istruzioni militari lungo le strisce di basalto lavico a quadrati, allora esistenti davanti alla chiesa di S. Benedetto e al Municipio. Ai compagni d'infanzia che simulavano con una canna il fucile, davo gli ordini io stesso. Eravamo veri 'Figli della Lupa', più bravi delle stesse reclute, più restìe ad apprendere gli addestramenti.
Come genere di conforto ai nostri soldati venivano distribuite delle sigarette le 'Milite'. Le attività sportive (il calcio) si facevano nel grande piazzale davanti alla chiesa di S. Francesco di Paola, successivamente sacrificato per la costruzione di case popolari. 
Nelle domeniche e nei giorni festivi tutti i reparti si radunavano nella Piazza Municipio e il Comandante del Presidio faceva un discorso ai militari, aggiornandoli sulle attività belliche nel mondo e per spronarli nel loro dovere verso la Patria. Al termine tutti entravano nella chiesa di S.Benedetto per la S. Messa delle ore 9, celebrata dal prozio Sac. Salvatore Abbotto.


Il Discorso del Colonnello
Anzi mi viene in mente un atto di monelleria commesso per quella circostanza da me e da mio cugino, Nello D'Angelo, che avevamo avuto l'incombenza dallo zio di annunziare la Messa con il suono delle campane (tre scampanate con due intervalli). Ebbene, il nostro intento coincise con l'inizio del discorso del colonnello. Lo aspettammo dall'alto del campanile e allorché sentimmo 'Cari soldati...', incominciammo a suonare quelle campane, che per qualche tempo non gli permisero di continuare. La stessa cosa si verificò dopo quella scampanata quando quell'ufficiale riprese di nuovo con 'Cari soldati...'. Insomma quella ragazzata ottenne la soddisfazione di disturbare quella autorevole e molto seria cerimonia. Cose di ragazzi!
Qualche anno fa la maestra assegnò a una mia nipotina un compito: 'Fatevi raccontare dal nonno un avvenimento della propria fanciullezza'. Le esposi questa birichinata. Fu premiata con un bel voto.






I Soldati - La Cultura Fascista
Gli ufficiali erano alloggiati in case private. Taluni di essi, a seguito dello sbandamento dell'esercito per l'ingresso delle Forze di occupazione alleate, restarono per qualche tempo a Militello dedicandosi all'insegnamento. Ricordo il cugino di Franco Di Pasquale nella sua casa di Via S.Francesco di Paola, il geom. Salvatore Di Pasquale da Suzzara (Mantova), non potendo rientrare in famiglia, perché in quei luoghi era ancora in corso la guerra partigiana, e il prof. Adriano De Matteis, che dimorò in Via Manzoni e sposò una donna di Militello. Entrambi mi diedero lezioni. Qualche soldato fece parte anche della squadra di calcio paesana, la quale qualche volta doveva giocare fuori casa e assieme ai tifosi vi si recava con un camion, stando in piedi. Questo era il solo mezzo in quel tempo che permetteva il viaggio in gruppo, anche per i pellegrinaggi o i convegni in altri paesi.
Tutti i sabati nelle scuole elementari l'insegnante dedicava un'ora per aggiornare gli alunni circa l'esito delle battaglie combattute dalle truppe dell'Asse nei vari campi di conflitto in ogni parte del mondo. Venivano messe in luce solo quelle notizie delle vittorie e dei successi delle nostre truppe, specialmente gli atti di valore dei nostri soldati, non le perdite e le disfatte. 
Gli scolari avevamo l'apposito libro di 'Cultura Fascista', dove faceva spicco, oltre alle massime del Duce e dei compiti delle alte gerarchie, anche la formula del Giuramento; argomenti che bisognava imparare a memoria come catechismo. Tutti dovevamo avere, oltre alla necessaria divisa di Figlio della Lupa o di Balilla, la tessera di appartenenza al regime. In una di esse trovai la formula di 'essere scritto al Fascismo sin dalla nascita'.
Oggi i libri degli scolari sono numerosi, sembrano enciclopedie, a stento contenuti nei pesanti zaini con le rotelle. In quel periodo erano appena tre: quello di lettura, il sussidiario che comprendeva tutte le materie, e quello di Cultura Fascista. Per scrivere in classe si adoperavano i calamai inchiodati nei banchi e venivano riempiti d'inchiostro a cura della bidella (le penne biro ancora non erano state inventate e spesso si adoperavano le matite copiative viola, oggi totalmente scomparse). 
Per facilitare i calcoli aritmetici si adoperavano i pallottolieri. Mi ricordo che nel 1992 mi recai in gita a Mosca e nel famoso KUM (un centro commerciale come la nostra Rinascente) di fronte al Kremlino, le cassiere adoperavano i pallottolieri, mostrando bravura e velocità nei calcoli.

La Scuola - I Mezzi di correzione
A scuola non mancava l'uso di qualche mezzo di correzione per i soliti scolari svogliati. Il maestro usava 'a viria' cioè una verga o la bacchetta. Nella mia aula il maestro (Padre Zuccalà) invece adoperava una tavola di legno per darne un colpo secco nella mano dello scolaro. Veniva chiamata madre badessa e l'uso avveniva con una frase: 'manu liscia, matri badissa... scìppiti chissa!' 
Un maestro (Platania) nell'adoperare 'a bacchetta' osava inveire contro il malcapitato con una frase nota: 'villano schifoso, ti prendo a cavallo, ti rompo le ossa', nel senso che per suonargliele per bene l'avrebbe fatto mettere a cavalluccio sulla schiena di qualche compagno. In quel tempo veniva ricordato che un certo Babbiaggiu, che abitualmente riceveva la consueta dose quotidiana, una volta mise celato nella schiena un piatto, che non appena ricevette quei colpi di bastone si ruppe, ed egli, piangendo con gridi più del solito, simulò la rottura delle ossa, con conseguente preoccupazione del maestro.
Una volta i malcapitati vollero fare un ricorso al Provveditore degli Studi di Catania, denunziando le percosse ricevute e scrissero delle parole di convenienza contro il maestro Platania. Nel fare la busta scrissero 'Al Provveditore degli Studi Militello Val Catania' nel senso che quella lettera da Militello va a Catania. Si ebbe l'effetto che quel ricorso non poteva raggiungere Catania, ma venne fatto recapitare alla Direzione Didattica di Militello e quindi allo stesso maestro a Militello, il quale per il pericolo scampato provvide a rincarare la dose.
All'Orfanotrofio una suora (Felìcita) usava dare allo scolaro una strizzatina alle orecchie o un secco colpo in testa con le nocca delle dita e una punizione maggiore sarebbe stata quella di rinchiuderlo al buio in uno stanzino sottoscala. Erano tutte cose di moda!


Il Regime Fascista nella scuola
Il termine delle lezioni venne imposto con certo ordine quasi militare. Si lasciava l'aula in silenzio, mettendosi subito in fila per tre, e agli ordini del maestro si attraversava con passo cadenzato l'atrio del Municipio dove erano state collocate tutte le classi maschili e, raggiunta l'uscita, veniva dato 'l'attenti' e i necessari saluti al Re ' Viva il Re', e al Duce 'Eia, Eia ..Alalà!' Seguiva il 'Rompete le righe'.
In genere nelle date del 21 Aprile (ricorrenza della nascita di Roma) e del 5 Maggio (chiusura dell'anno scolastico), in quell'atrio comunale, ma anche nella Piazza V. Emanuele si facevano gli Esercizi Ginnici, alla presenza delle autorità scolastiche e degli esponenti politici del regime. Tutti dovevamo indossare i pantaloncini corti e le apposite magliette bianche con la scritta 'M' (Mussolini), oppure O.N.B. (Opera Nazionale Balilla).
Nelle cerimonie patriottiche, che allora erano diverse, era obbligo indossare la divisa (figlio della lupa, balilla moschettiere, piccola italiana e giovane italiana (la donna) giovane avanguardista (divise queste con lo specifico copricapo nero con fiocco pendente), camicia nera (con pantaloni bianchi, ovviamente con camicia nera e con copricapo (il Fez) con frangia pendente) e infine Centurione (come lo fu il geom. Portuso). Era obbligo che tutti facessero parte della Milizia Fascista e i più giovani della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio). Gli stivali venivano calzati dai gerarchi più alti in grado. A Militello esisteva anche il N.U.F. (Nucleo Universitari Fascisti). 
Nel 1941 a Militello fu fatto anche un Campo DUX. Vi parteciparono cento giovanette, provenienti da tutta la Provincia. Presero alloggio nelle Scuole Elementari di Viale Regina Margherita e si addestravano nel campo sportivo attiguo davanti alla chiesa di S. Francesco di Paola, non più esistente per avervi fatto sorgere delle case popolari. 
In talune pareti ben in vista nelle piazze e nelle vie principali furono dipinti il profilo del volto di Mussolini e a caratteri cubitali alcune sue massime e frasi dei discorsi che era solito fare con relativa sua firma finale. Eccone qualcuna: 'Credere, obbedire, combattere' 'Libro e moschetto fascista perfetto', ‘Vincere e vinceremo’ ecc..

Pernottamento del Re V. Emanuele III.
Un avvenimento degno di essere ricordato è quello del pernottamento del Re Vittorio Emanuele III e del suo seguito nella carrozza reale del treno dentro una delle gallerie ferroviarie di Militello verso l'anno 1941 per motivi di sicurezza, in occasione della sua visita in Sicilia. Attraversò con la sua macchina scoperta l'abitato fra ali di folla osannante provenendo dalla Stazione F.S., scendendo dalla Via Senatore Majorana e imboccando la Via Umberto, di poi la Via Roma verso Caltagirone. Un alto personaggio che sedeva accanto in auto scoperta, gli additò la mole della Chiesa di S. Benedetto e del prospetto del monastero adibito a Municipio. Mi ricordo che avevo avevo preso posto in un'altura nell'angolo della chiesa di S. Benedetto. 

Altre visite in Sicilia
Il Re era venuto verso il 1936 in Sicilia e si era recato a Siracusa per assistere alle Rappresentazioni Classiche nell’antico Teatro Greco. In quella circostanza con la mia famiglia, dopo il pellegrinaggio del 4 Maggio a Melilli per la Festa di S.Sebastiano, con l’auto a noleggio ci recammo a Siracusa per vedere il Re, ma non ci fu possibile per il traffico interdetto alle auto private. Cantavamo: 'Bre bre bre, oggi è festa viva il Re.' E in Agosto 1937 era venuto in visita a Catania Benito Mussolini che fece il comizio in Piazza Università dal balcone principale del palazzo di fronte all’Ateneo. Vi ero presente anch’io con la mia famiglia e avevo preso posto in una finestra a piano terra proprio dell’Università. Passando con il treno sopra gli archi della marina, vidi per la prima volta di sotto il mare e le barche.

I bombardamenti degli aerei inglesi
Era un periodo terribile in piena guerra e in continuazione il cielo di Militello veniva attraversato da stormi numerosi di centinaia di aerei inglesi provenienti da Malta con rotta Sud-Ovest Nord-Est per bombardare Catania anche con spezzoni incendiari, il suo porto e i suoi aeroporti di Fontanarossa e di Gerbini. Continuamente si sentivano quei rumori cupi e assordanti dei quadrimotori e di quegli aerei anche a due code che transitavano da Militello. Noi ragazzi al loro apparire incominciavamo a contarli, ma in seguito perdevamo il conteggio perché erano numerosissimi distribuiti in diverse flottiglie. Di notte si notavano in quella zona delle luci abbaglianti provocate dalle bombe 'bengala' lanciate dagli aerei per illuminare i bersagli da colpire. Non sempre il transito di quegli aerei nemici veniva contrastato dagli aerei italiani o tedeschi e la difesa lasciata solo alle batterie antiaeree. Quasi tutti i centri della Provincia subirono vittime di bombardamenti. Ad Acireale a causa di un bombardamento navale fra le vittime fu trovata una donna abbracciata al suo bambino con in mano una mela appena morsa.
A Militello l’unica testimonianza di quella violenza bellica fu la caduta di un proiettile a seguito di un mitragliamento avvenuto nel cielo di Militello. Lo stesso provocò la scalfitura del gradino destro della porta principale della Matrice, che tuttora si nota, e poi di rimbalzo andò a colpire un vecchietto sfollato vicino al bar di fronte alla chiesa. 

Restrizioni belliche
In questo periodo i cittadini di Catania sfuggendo alla violenza dei bombardamenti cercavano rifugio in paesi lontani, fra questi il nostro Militello, prendendo alloggio anche in numero elevato in piccole case. In una bottega di appena 10 mq. di proprietà di mio padre in piazza Municipio al n.1 venne alloggiata una famiglia numerosa di sette persone adulte, dedite all'attività di pupari, cioè la vendita di manufatti e soprammobili di gesso. Quando quella bottega venne lasciata libera le pareti erano talmente annerite da paragonarle alla galleria ferroviaria.
I Tedeschi, allora nostri alleati, lungo la strada provinciale avevano steso un filo di comunicazione telefonica fra i loro comandi anche distanti e avevano fatto bandire la feroce rappresaglia con la fucilazione in caso di manomissione. 
Fu imposto di non detenere alcuna arma di nessun genere. Tutti i detentori così dovettero consegnare alle autorità anche i fucili da caccia, che vennero ammucchiati nel sotterraneo del Municipio in grande quantità.
Era imposto il coprifuoco dopo una certa ora era fatto divieto di far uscire dalle abitazioni raggi anche fievoli di luce dei lumi a petrolio, giacché la luce elettrica era erogata solo di rado e per brevissimo tempo; anzi dalle autorità venne imposto di schermare tutte le finestre e i balconi. In talune vetrine veniva incollata della carta a strisce incrociata, per evitare in caso di esplosione di qualche bomba l’onda d’urto provocasse con la rottura ferimenti alle persone.
Un aereo inglese venne colpito dalle forze militari di difesa e il suo pilota riuscì a salvarsi col paracadute. Venne prontamente catturato ferito nella zona della Fara e curato per qualche tempo nel locale Ospedale Basso-Ragusa. Gli prestò i conforti religiosi il cappellano Sac. Mario Ventura, il quale, a guerra terminata, fu particolarmente ringraziato da quell'ufficiale a seguito di una sua apposita visita a Militello.
Anche un soldato tedesco fu ucciso, e provvisoriamente sepolto in campagna in contrada Fara. Quando venne riesumato il cadavere fu trovato senza quei particolari stivali a mezzo polpaccio. I nostri soldati invece nemmeno se le sognavano. Per i nostri soldati ancora erano in uso le fasce di panno nei polpacci, retaggio della prima guerra mondiale. Nella disastrosa campagna di Russia i più fortunati riuscirono a farsi le scarpe con dei copertoni d'auto cuciti a forma di barbuches. La maggior parte rimasta senza scarpe affrontò quella neve con appena le calze rotte, con conseguenti congelamenti e decessi, come da fotografie riportate sui giornali. 
Durante questo periodo dalle autorità venne disposta una raccolta di ferro vecchio, da servire per gli usi bellici. Gli alunni furono mobilitati a portare oggetti di ferro, accatastati dietro le lavagne. Non furono risparmiate nemmeno le ringhiere del giardino pubblico, né quelle dell'Orfanotrofio e dell'Ospizio Bisicchia.
Ci fu anche la raccolta dell'oro delle fedi nuziali e sostituite con quelle di ferro, divenute queste cimeli storici.
Le ristrettezze finanziarie per sostenere quella guerra provocarono nella popolazione molte limitazioni. Per sopperire alle richieste dei generi alimentari di prima necessità, vennero distribuite le Carte Annonarie per il pane, l'olio, il burro, la pasta, lo zucchero, i grassi di maiale, i panni, i vestiti ecc. persino il sapone, intestate ai singoli cittadini, con attaccati diversi quadratini (le cedole), portanti le date di scadenza ma anche se trattavasi di uomo o donna se prima o dopo i 15 anni, che venivano staccati di volta in volta dagli esercenti dei negozi all'atto della vendita. Non erano ammessi utilizzi prima della data impressa su dette cedole. Succedeva spesso che i generi richiesti non si trovavano e per l'acquisto di una stoffa per confezionare un cappottino ad un bambino si unissero tutte quelle staccabili dei componenti di tutta la famiglia (esperienza personale).

Nel timore che tali generi venissero contrabbandati nel mercato nero venne istituita un'apposita Polizia Annonaria, con compiti di eseguire anche perquisizioni e confiscare le scorte familiari. Talune famiglie si videro costrette a nascondere in locali sotterranei o in ripostigli le merci, murandoli con mattoni e creando una parete senza alcun ingresso. Venivano nascoste negli angoli delle stanze togliendo le mattonelle del pavimento per sfruttare i vuoti delle volte dei vani sottostanti. Le perquisizioni  e i sequestri avvenivano anche per le strade di campagna nei carichi trasportati con carretti  e con gli equini negli improvvisati posti di blocco delle forze dell'ordine. 
                       
Le  sigarette
Nella Piazza V. Emanuele apparve qualche ciarlatano e uno sfollato di Catania approntò la sua particolare sedia per fare il lustrascarpe. Non mancò colui che aveva raccolto 'i scammuzzuni', cioè i mozziconi di sigarette e il tabacco così riciclato era messo a mucchio su un tavolino per essere venduto sfuso col misurino e con le cartine. A Catania 'a fera u luni' taluni invece a mucchio tenevano proprio i mozziconi interi anche con i filtri per venderli. Era diffuso l'uso dei bocchini per fumare fino all'ultimo millimetro le sigarette.
Proprio le sigarette erano gli argomenti del giorno da affrontare. Persino ci furono delle scene dei films, in cui una sigaretta veniva passata a circolo fra diversi amici per darvi una abbondante 'boccata', e un'altra scena in cui un distinto signore per non farsi notare dalla gente che raccoglieva per terra qualche appetibile mozzicone di sigaretta, brandendo per sportività il bastoncino da passeggio, lo catturava mediante un apposito punteruolo sistemato nella punta per passarlo indisturbato all'amico che lo seguiva.
Comparvero anche delle apposite macchinette per arrotolare le sigarette  dove veniva sistemato il tabacco sfuso e la cartina inumidita appena con la saliva. La sigaretta era diventata d'importantissima necessità.
Si provava ad usare qualunque genere per fumare. Si adoperava la diffusa 'erba di ventu' , i fiori gialli essiccati delle ficodindia, le foglie delle viti, ecc. Anch'io provai a fumare una volta la cartapaglia gialla, adoperata per avvolgere taluni generi, come il pesce e lo zucchero che allora si vendeva sfuso in pietra. L'effetto fu disgustoso perché nell'aspirazione faceva la fiammata. Insomma l'intossicazione era assicurata. In quella circostanza provai anche a fumare una Milite, di cui in famiglia c'era una discreta abbondanza perché inviataci da mio padre da Bologna, colà richiamato per servizio militare. Egli non aveva quel vizio e periodicamente osava mandarle con sacco postale militare alla famiglia, per farne regalo agli amici e ai mezzadri delle campagne. Vi accludeva anche un Corriere dei Piccoli per noi ragazzi, che allora non avevamo compiuto nemmeno dieci anni. Ma anche da queste sigarette il disgusto era diverso! Una decisione drastica e veramente salutare: il fumo non è per me! In tutta la vita non ho mai provato a fumare!

La vita economica era molto modesta e ci si doveva accontentare di quello che era possibile avere dal mercato: il latte, la ricotta col siero, i sottaceti, i pomodori, i peperoni arrostiti, le olive arrostite nella conca insieme alle fette di pane che diventavano dorate. Quando era possibile si metteva sottocenere qualche pezzo di salsiccia avvolto in un foglio di quaderno bagnato.
Alla prima pioggia autunnale nelle campagne non coltivate era facile trovare le lumache nere. Il luogo preferito era il Piano Garofali a monte della Stazione FS.
I contadini dopo le prime tre ore di lavoro in campagna facevano un pasto veloce con fette di pane e olive, arrostite nella brace, raramente con formaggio e con vino. Il proprietario partecipava assieme alla ciurma a quel pasto, e, appena chiudeva il coltello, che era un significativo messaggio che il riposo era terminato, faceva  riprendere il lavoro.
Tutte le mattine na chiazza lurda c'era l'assalto all'asino che portava la verdura dalla zona di Lémbasi.
Si notò in quel periodo un forestiero che veniva spesso nelle domeniche per vendere la pomata di sua invenzione per i calli. Per dimostrare la sua efficacia mostrava un mucchio di calli estirpati come egli propagandava, che poi invece erano pezzettini di budelli di animali essiccati e tagliuzzati in diverse dimensioni, provenienti dai crivelli dei ceci a larghe maglie, propriamente fabbricati con quei materiali animali. Per attirare le persone si presentava in pubblico sotto il campanile della Matrice con alcune bisce nere che si faceva attorcigliare nel collo e nelle braccia, lasciando intendere che quel prodotto messo in vendita era stato ricavato dai serpenti.
Si inventava qualsiasi espediente per sbarcare il lunario nel migliore dei modi. Si notò anche colui (un certo Tringale) che in piazza vendeva pillole contro il mal di testa e contro tutti i dolori, di colore nero, fatte chissà con quale prodotto, forse liquirizia, pillole che facevano scomparire anche tutti i dolori, 'veramente miracolose', come venivano propagandate. Chi non ha mai avuto dolori nella vita?
Per le strade si incontrava una donna, che veniva chiamata 'paraccara', perché oltre ad aggiustare gli ombrelli e a cucire col fildiferro i piatti e i lemmi di ceramica rotti, barattava con piccoli giocattoli, collanine, cucirini o con le trappole per uccelli di fildiferro, le bucce d'arancia essiccate da cui veniva estratto l'alcol metilico (lo spirito) e le ciocche dei capelli delle donne per fare le parrucche. Andava in giro anche con un pappagallino nella gabbia per fargli estrarre a sorte 'la fortuna', fra i biglietti di colore diverso, per indovinare il futuro a un uomo o a una donna. Le trappole per uccelli erano molto richieste, perché venivano 'parate' in campagna  nei 'fumeri', preferiti dagli uccelli per trovare il cibo.
C’era anche un forestiero che passava per le strade con i biglietti della fortuna e per attirare l’attenzione osava suonare con la tromba qualche nota della Marcia dei Bersaglieri.
Oltre ai consueti fusi incominciarono a far apparizione alcune macchinette in legno fabbricate dagli artigiani locali per filare in casa il cotone, la lana (certe volte prendendo quella dei materassi). Avevano un pedale per imprimere attraverso una ruota un movimento rotatorio per filare. Ne esististe una in casa mia.
Spesso i vecchi vestiti venivano rivoltati, utilizzando la stessa stoffa dalla parte interna rimasta più nuova.
Non mancavano le toppe nei pantaloni, i salvatacchi e le salvapunte in metallo nelle scarpe. In una fotografia riportata su un giornale era riportato un contadino con un vestito talmente lacero che non si riconosceva qual'era la stoffa originaria.
All'imbrunire c'era in paese il rientro dei contadini e spesso ci fornivamo delle spighe d'orzo per mangiare i chicchi ancora verdi.
 Non sempre si potevano acquistare le uova, perché esse venivano vendute non nelle botteghe ma nelle varie case di coloro che allevavano le galline. Certe volte per comprarne anche uno solo si chiedeva in tutte le case di una intera strada (mia esperienza personale in Via Rimembranza).
Al mattino transitavano per le strade i pastori con le capre per mungere il latte e fornirlo alle persone direttamente. Mi ricordo che mettendo le tazze più distanti quel pastore anziché latte dava più schiuma, oggetto di pronti reclami. In Acireale invece c'era un pastore che vendeva il latte con diverse capre e con una mucca nel centro abitato.
Per gli scolari venivano organizzate le colonie  estive con alloggio nel plesso scolastico di Viale Regina Margherita. L'abbigliamento uniforme prescritto prevedeva una maglietta bianca e gli zoccoli di legno.  
Prosperava il mercato nero, meglio l'intrallazzo di generi alimentari, olio, farina, dolci.

La  Ferrovia
L'unico mezzo di trasporto in quel periodo era la ferrovia e si viaggiava con consuetudine non solo nei carri-bestiame ma anche aggrappati alle maniglie e sulle pedane esterne. Qualche viaggiatore più spericolato volle prendere posto sul tetto esterno della vettura. Ci fu anche qualche vittima quando il convoglio dovette passare sotto un ponte.
Affrontare poi per il ritorno da Catania la salita di Scordia verso Militello era un'avventura, perché la locomotiva non sufficientemente alimentata di carbone, che incominciò a scarseggiare, si fermava per diversi minuti per fare arrivare la caldaia a una sufficiente compressione di vapore, e certe volte anche indietreggiava per diversi metri. I viaggiatori avevano tutto il tempo necessario per rifornirsi di arance, scendendo dal convoglio. Ricordo che anch'io una volta viaggiai su un carro bestiame, dove al centro c'era un blocco di cemento pietrificato pesantissimo, che nessuno poteva spostare. Il cemento originariamente era in un sacco di carta pesante, che, essendosi bagnato, non esisteva più, però vi aveva lasciato delle riseghe e di sopra anche l'impronta del sedere.

La  chiusura  del  passaggio  a  livello
Era norma che appena il convoglio partiva da Scordia veniva chiuso il passaggio a livello di Fildidonna al termine della salita di oltre sei chilometri. Una volta la chiusura di quel passaggio a livello durò più di un’ora e nei due sensi di marcia si raggrupparono file interminabili di carretti. Finalmente il treno merci con un numero elevato di vagoni e con una lentezza inusuale, sbuffando vapore da tutte le parti, fu visto arrivare. Fu l’occasione per indirizzare al macchinista brutte parole e alzando la mano anche “cornuto”. Tutte le accettò ma non questa, che era tollerata solo  verso gli arbitri durante la partita di calcio! Ma non a lui che da un buon padre di famiglia, servitore scrupoloso dello Stato, faceva il suo servizio onestamente!
Senza pensarci due volte bloccò i freni scese dalla locomotiva e qualificatosi come Pubblico Ufficiale chiese i documenti per fare una denuncia ai Carabinieri. Dopo alcuni mesi nella Pretura di Militello ci fu il processo e la sala si riempì di molti curiosi, che per assistervi dovettero in piena estate indossare la giacca, com’era costume di fronte al pretore. Alla fine fu data la parola all’interessato per dire qualcosa a sua difesa e quello, opportunamente consigliato dal proprio avvocato ebbe a dire: “E’ vero che io ho alzato la mano per dire che era da un’ora che aspettavamo dietro le sbarre, facendo il segnale solo con il dito indice. Il macchinista, invece sospettò che dietro a quel dito ci fosse anche il dito mignolo, sentendosi insultato come ‘cornuto’, da me mai pronunziato. Egli con il rumore del treno non poteva sentire alcuna parola, né quella attribuitami. E’ da un’ora che aspettiamo!”
Il pretore, con animo bonario, accettò questa versione e subito emise la sentenza di assoluzione piena ‘per non aver commesso il fatto!’ Ci fu un sentito applauso da parte del pubblico con piena soddisfazione di tutti.
Alla fine, l’ex imputato fu visto stringere la mano all’avvocato Giovanni Baudo, padre di Pippo. Egli aveva la nomea in Militello di saper trovare sempre ‘qualche garbuglio da azzeccare’ nei casi più difficili e far assolvere quegli imputati notoriamente colpevoli, anche in virtù della sua loquace parlantina, facendo sfoggio di qualche vocabolo difficile mai sentito e forse non esistente nel vocabolario italiano però utile e di facile presa nei dibattiti per diventare più convincente verso i Giudici. Si diceva che fosse l’avvocato ‘di storti’.



La famiglia Baudo 
in quel tempo abitava in una casa in affitto di proprietà Tempio, in via Spina n.3, dove nel tempo passato era sorta la casa della baronessa Ferrera, donde il nome a tutto il quartiere. Era frequentata sin da bambina dalla tradizionale ‘cammarera Antonia’, la quale avrà visto nascere Pippo. Mi ricordo una volta per l’Ottava della festa del SS.Salvatore in chiesa ‘la solita musica in testa’ della banda paesana canticchiata innocentemente da Turiddu Barone ‘..Pappapà..pappapà..’ provocò la reazione della stessa perché si sentì insultata, in quanto aveva il soprannome quasi similare,  tanto da dargli un colpo di sedia in testa.

L'ingresso a Militello delle Truppe Alleate
Il 9 Luglio 1943 la notizia degli sbarchi delle truppe alleate a Cassibile, nel ragusano e a Gela era giunta anche a Militello, propagandata specialmente da persone ostili al regime. Esse, collegandosi con forse l’unico apparecchio a “Radio Londra” nella casa di Angelino Basso in Via Umberto, si tenevano aggiornate sui veri fatti bellici, però venivano prontamente smentite dalle autorità, asserendo che quelli erano stati solo dei tentativi di sbarchi perché 'gli invasori vennero ributtati a mare'. Ma la realtà degli sbarchi e dell'avanzata alla conquista di tutta la Sicilia degli Alleati non poteva nascondersi.
Già da qualche giorno si avvertivano talune avvisaglie dello sbandamento delle truppe italiane. Taluni soldati disertori  fuggiti dalle zone degli sbarchi, transitavano per le nostre strade di campagna, chiedendo il cibo alle persone che incontravano ma anche indumenti civili. Qualcuno di essi si cibava anche delle  ficodindia non conosciute, subendo poi le conseguenze delle spine.
Anche i nostri soldati di stanza a Militello, in prossimità dell'arrivo imminente degli Alleati, si diedero alla fuga, travestendosi con abiti civili, abbandonando armi e munizioni un po' dappertutto, anche lungo le strade di campagna; cassette intere di bombe. Si trovavano in grande quantità le bombe a mano  OTO e SRCM in dotazione individuale con l'involucro rosso e interi caricatori anche a nastro di proiettili di armi individuali e di reparto, spolette di armi pesanti, razzi di mortai pesanti e tipo Brixia. Tali ordigni micidiali pervenuti nelle mani dei ragazzi, nel tentativo di smontarli, provocarono alcuni decessi (un certo Capuana) mutilazioni e ferimenti di seria gravità (Francesco Cunsolo e Giovanni Saporoso-Berretta entrambi con amputazione della mano, Gennaro Santoro con amputazione di tre dita della mano) ecc. Riferisco anche un caso in cui ero presente io: alla presenza di una decina di ragazzi nel lavinaio del ponte S. Filippo, un nostro compagno di nome Tito, figlio di un maresciallo dei Carabinieri, con qualche anno in più  lanciò lontano facendole esplodere una dopo l'altra due bombe a mano, per fortuna senza alcuna conseguenza. Tutti i giorni si sentivano assordanti deflagrazioni, provenienti dalla periferia del paese, e pur destando una qualche preoccupazione nessuno più ci faceva caso.

Esplosione  a  ripetizione  delle  bombe  a  mano
Però un giorno quei potenti botti delle bombe, circa una decina, avvennero in continuazione una dopo l'altra provenienti dalla parte del Calcarone, tanto che il Comando Inglese insediatosi nel paese temette una qualche controffensiva e si precipitò con i mezzi militari sul luogo. Si trovarono di fronte ad alcuni giovani che avevano provocato quelle deflagrazioni, provvedendo ad arrestarli e successivamente a consegnarli ai Carabinieri, i quali provvidero ad identificarli essendo appartenenti a onorate famiglie del luogo, tranquillizzando quel comando inglese.
Si trattava di giovani studenti più grandetti della nostra età, fra i quali ricordo alcuni nomi: Lucio Costa, Saro Di Giorgi (che sarà notaio a Pavia), Giovanni Liggieri, e Carrubba. Essi avevano rinvenuto una cassetta di bombe a mano SRCM rosse e si erano adoperati per farle esplodere tutte. Avevano persino organizzato i compiti di ciascuno: uno prendeva dalla cassetta la bomba, un altro togliendo la spoletta di sicurezza la passava così al terzo che la lanciava lontano per farla esplodere, e così in continuazione per diverse bombe, si può dire una vera 'catena di montaggio'. In serata vennero dimessi tutti dalla caserma, dove all'uscita trovarono il padre di uno di loro, il noto Paolino Liggieri, nella cui casa della Piazza gli inglesi avevano stabilito il loro comando, per sculacciarli per un buon tratto di strada. Non si meritavano altro, perché da veri incoscienti si erano esposti a seri rischi.
Vennero abbandonati anche due autocarri militari nel Piazzale della Rimembranza, sistematicamente poi demoliti dai cittadini pezzo per pezzo, e persino un cingolato, appartenuto al reparto dei mitraglieri nella campagna attigua al cimitero comunale. Si trovavano bombe a mano tedesche col manico e tipo Ananas inglesi con fratture prestabilite.

L'ingresso delle truppe Alleate a Militello avvenne dalla parte del Calvario. Esse erano  formate da reparti a piedi che procedevano in fila indiana possibilmente sui marciapiedi e da colonne di camions  pieni di soldati precedute dai carri armati, che nel transitare attraverso gli stretti ponti provocavano l'abbattimento dei muri di protezione fra nuvole di polvere, essendo tutte strade non asfaltate. Entrarono nell'abitato nel pomeriggio del 16 Luglio 1943, dopo avere sostenuto nelle alture di Caltagirone-Vizzini una battaglia con le forze tedesche. Era stato posizionato anche un cannone alla Renarossa, che venne poi portato altrove.
Mi ricordo che allora avevo l'età di 10 anni e una buona parte degli abitanti aveva preso rifugio nelle due gallerie ferroviarie a monte dell'abitato, trascorrendovi anche la notte precedente.
 A seguito di quella battaglia, diversi soldati tedeschi feriti (fra essi c'erano anche i morti) venivano trasportati con carrelli ferroviari azionati a pedali, attraversando quelle gallerie in direzione di Catania fra due ali timorose di rifugiati (testimonianza mia personale).
Centinaia di automezzi attraversavano il paese e la popolazione accoglieva quei liberatori con applausi, offrendo acqua, vino e frutta ma anche con richiesta di cibo, sigarette, caramelle, datteri, cioccolate ecc.. Noi ragazzi sin dalla strada del Calvario ci facevamo trasportare lungo il tragitto del paese attaccati in qualche appiglio nella parte posteriore.
L'importanza della  segnaletica    
Ad Acireale i tedeschi avevano fatto in alcuni palazzi nobiliari e barocchi del centro storico determinati segnali dove apporre le mine per ostruire l’arteria principale verso Messina, la SS.114 che passava per il centro storico. Erano scritture cifrate per i guastatori in ritirata da minare e da far saltare all’ultimo minuto. Il comandante dei Vigili Urbani, il dott.Rosario Pavone, nottetempo fece cancellare quei segnali, salvando quei palazzi barocchi.
 Le scritture militari hanno il loro indiscutibile valore, oggetto da parte dei nemici di manomissione, allo scopo di dare false indicazioni, come far imboccare una strada che porta in tutt’altra direzione. A Militello in diverse case gli inglesi avevano apposto anche le loro scritture. Ne ricordo una, che mai ho capito non conoscendo la lingua inglese: ‘Out of bounds to trop aller’.

Il vagone tedesco pieno di banconote
Sempre ad Acireale i tedeschi in ritirata abbandonarono nella Stazione ferroviaria un vagone pieno di banconote italiane. I fratelli Salvatore, Orazio e Mariano Maugeri, noti macellai, riuscirono a forzarlo ed a impossessarsi di quell’immenso tesoro, che a termine della guerra impiegarono per gestire in Provincia alcune Esattorie e Tesorerie Comunali e per costruire nella centralissima Piazza Garibaldi un lussuoso Albergo e un Teatro. Quando venne inaugurato quel teatro alla presenza delle autorità l’architetto si pavoneggiava dicendo che lo scritto in alto in latino “Scaenica ex arte humanitatis comoedia” (Dall’arte scenica la commedia dell’umanità) era una frase di Orazio.  Uno dei proprietari accanto disse: “Nun po’ ièssiri! Ma frati Arazziu iè cchiù bbestia di mia e ssa frasi nunnà putiva diri ! ”
Un detto che è passato alla storia come un altro proferito a Catania e ripreso dalla televisione dal facoltoso costruttore Angelo Massimino, presidente del Catania Calcio: “C’è chi può e c’è chi non può. E io può!”

Gli  accampamenti  degli  Alleati
In attesa di ulteriori avanzate, facevano accampamenti  nelle campagne circostanti. Mi ricordo quello nella Renarossa, dove è sorto da qualche decennio un complesso edilizio, un altro nella zona del Castelluccio, un altro ancora nella zona di Serravalle, alla periferia di Scordia, di Ambelìa, e di S. Barbara, dove erano custodite centinaia di biciclette militari.
In vicinanza di quest'ultimo accampamento i contadini che si recavano in campagna spesso si imbattevano in un soldato che a modo suo si allenava per la boxe e pretendeva che quei malcapitati indossassero anche i guantoni di riserva, che portava con sé, per lottare con lui. Dopo aver costretto il contadino a scendere dall’asino, si metteva in guardia, saltellava ora a destra ora a sinistra per centrarlo con un bel pugno nel viso da tramortirlo a terra. Dopo però, aveva l’educazione di aiutarlo ad alzarsi, spazzolandolo con la mano della polvere della strada e aiutandolo di nuovo a mettersi in groppa all’asino per farlo ripartire. Non avendo potuto terminare l’allenamento, saltellando continuava ad aspettare il transito di qualche altro contadino. Quanta compassione e delicatezza!
Ovviamente in paese si sparse la voce della stranezza di quel soldato che importunava i poveri contadini.  Ne venne a conoscenza un ex emigrato ritornato dall'America dove aveva praticato quello sport. Costui volle fare quella strada con la speranza di essere fermato per ingaggiare la lotta. Lo seguirono, anzi lo precedettero, diversi ragazzi e curiosi, che da spettatori presero posto nelle campagne limitrofe di quel bivio. Lo trovò lì presente  in attesa della vittima. Egli all’invito ricevuto in un primo momento finse di non sapere lottare, ma dopo, incominciò a dargliene una gran quantità finché quel soldato cadde a terra, subendo ancora un’altra scarica di pugni, ceffoni e anche qualche calcio. Da terra fu visto reclamare, invocando “No Regolamento… no regolamento!”  E quello in perfetto idioma siciliano gli ripetè “Cosafitusa u veru regolamentu tu do iu!”. Solo così da quel momento quel soldato scomparve dalla circolazione e tornò la pace in quella strada.
 
Le  nuove  banconote
Gli Alleati una volta consolidata la loro posizione imposero anche delle nuove banconote cartacee proprie, le chiamavano amlire, da 1, 2, 5, 10, 20, 50, 100, 500 e 1000 lire. Le prime quattro con forma quadrata, sia pure con colori diversi.
Ricordo un fatto personale. Volli aggiungere alla banconota da una lira con i bordi verdini lo zero e li colorai con matita marrone, divenendo una da 10 lire, proprio quella somma che ci voleva per salire insieme a un compagno nella giostra in una barchetta da noi manovrata con movimento di altalena. Ce n'erano quattro lungo la Via Umberto nello slargo quasi vicino all'ingresso della villa. Però quel divertimento si tramutò in palpitazione, nel timore che il proprietario se ne accorgesse e al termine del trastullo ci coprisse con sonori ceffoni. Come esperimento quella falsità funzionò, ma il prezzo per quella paura fu altissimo, tanto da non ripeterlo mai più.     

I  botti  e le  bombe
A seguito dell'avanzata di quelle Truppe divenute Alleate, quegli accampamenti venivano abbandonati lasciandovi vettovaglie, indumenti, carburanti, munizioni  nelle cassette con interi caricatori anche a nastro e bombe, facili prede poi delle persone. Molto ricercata da noi ragazzi era la polvere da sparo, che si trovava sparsa ma anche in sacchetti, con varie forme di corallini, spaghetti con o senza buchi, di diversi colori e lunghezza, e persino fine come capelli. La più pregiata per noi era quella che noi stessi estraevavamo dal bossoli dei proiettili d'artiglieria, girando in senso antiorario il pesante proietto. Essa aveva il colore giallastro con il foro, come i bucatini della pasta mangereccia. Per noi ragazzi era quella che ci provocava più soddisfazione perché veniva tagliata  a pezzettini, i quali accesi con un fiammifero  facevano in aria una traiettoria a zig.zag.  Con tale polvere noi ragazzi ci fabbricavamo dei veri ordigni, rinchiudendola pressata negli involucri metallici delle scatolette di carne, che, facendoli esplodere attraverso una miccia esterna a lenta combustione, provocavamo un botto assordante. A me piaceva fare i botti anche con una miscuglio di zolfo e clorato di potassio, che compravo in farmacia. Ne mettevo una piccola quantità  nel marciapiede con un coccio di terracotta di sopra e provocavo con lo strofinio con il tallone un bel botto assordante.
Ma non erano solo queste le bombe che mi fabbricavo. Avevo escogitato di piegare dei fogli di quaderno che riempivo d'acqua nella fontanella nel marciapiede ad angolo della chiesa di S. Benedetto, che poi di nascosto lanciavo a qualche compagno di passaggio, il quale improvvisamente si trovava tutto bagnato.



















































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